Il 22 giugno si sono verificati due eventi significativi, uno dei quali ha colto di sorpresa molti osservatori. In seguito all’attacco statunitense contro gli impianti nucleari in Iran, il prezzo del Bitcoin ha subito un calo, un movimento prevedibile data l’escalation del conflitto. Tuttavia, ciò che ha sorpreso è stato il repentino crollo dell’hash rate della rete Bitcoin. Ora ci si interroga se questa flessione nella potenza di calcolo sia solo temporanea o se potrebbe peggiorare ulteriormente nel caso in cui le tensioni tra Iran e Israele dovessero intensificarsi.
Hashrate dropped right after Israel's initial strike on Iran. It's not talked about often but Iran has been mining for many years now (over 5 years).. its likely that Israel hit part of Iran's power grid and disrupted some of their mining operation.
Can't say whether disrupting…
— daniel 🦌 (@mars_quaking) June 23, 2025
Hash rate di Bitcoin in discesa nonostante il recupero del prezzo
Il prezzo di Bitcoin è sceso in modo importante, fino a toccare i 98.500 dollari, prima di recuperare terreno. Come spesso accade nei momenti di flessione, anche le altcoin hanno risentito della pressione ribassista, incluse alcune delle meme coin più popolari su Solana.
Secondo i dati di Coingecko, l’intero mercato delle criptovalute ha registrato un calo del 2,4%, portandosi a una capitalizzazione complessiva di circa 3,2 trilioni di dollari. Nonostante Bitcoin sia tornato sopra quota 101.000 dollari, la potenza di calcolo della rete – ovvero l’hash rate – ha continuato a scendere.
Attualmente, l’hash rate di Bitcoin si attesta intorno agli 861 EH/s, in netto calo rispetto ai 943 EH/s registrati a metà giugno. Il declino si è accentuato nel fine settimana, passando dagli 886 EH/s del 18 giugno al minimo recente di 861 EH/s registrato il 22 giugno. Sebbene il dato rimanga vicino ai massimi storici, il trend discendente desta preoccupazione tra gli analisti.
Cosa accade ai miner iraniani
Il calo dell’hash rate potrebbe essere attribuito alla disconnessione dei miner in Iran il giorno in cui gli Stati Uniti hanno bombardato importanti impianti nucleari iraniani, causando possibili interruzioni dell’energia elettrica.
Il mining di Bitcoin è un processo che richiede molta energia e i miner, che probabilmente gestiscono migliaia di impianti di nuova generazione, necessitano di un accesso costante all’energia elettrica e a una connessione Internet affidabile.
Entrambe le comunicazioni sono state interrotte la scorsa settimana a causa dell’escalation delle tensioni tra Iran e Israele, con blackout di elettricità e internet segnalati in entrambi i Paesi.
Secondo Mempool, un tracker del mining di Bitcoin, alcuni dei più grandi mining pool si trovano negli Stati Uniti. Foundry USA, ad esempio, contribuisce con 255 EH/s di hash rate, mentre MARA Pool con 41,30 EH/s.
Ci sono altri miner provenienti da Asia ed Europa. Tuttavia, migliaia di mining pool più piccoli, sebbene non altrettanto grandi, contribuiscono comunque con centinaia di EH/s e svolgono un ruolo fondamentale nella sicurezza della rete Bitcoin, garantendone la resistenza alla censura, la decentralizzazione e l’elevata affidabilità.
Il mining di Bitcoin è legale in Iran
Tra i principali protagonisti del mining di Bitcoin ci sono diverse mining farm e pool localizzate in Iran. Nonostante le restrizioni internazionali, il Paese si è imposto come uno dei centri più rilevanti per il mining di criptovalute, giocando un ruolo chiave nell’ecosistema globale delle crypto.
Il calo dell’hash rate registrato nel fine settimana, coincidente con gli attacchi contro impianti nucleari, evidenzia il legame stretto tra l’Iran e il mining di Bitcoin, favorito dall’accesso a energia abbondante e a basso costo, proveniente sia da fonti fossili che nucleari.
Questa dinamica non è nuova: dal 2019, anno in cui il governo iraniano ha legalizzato il mining di Bitcoin, la Banca Centrale ha iniziato a concedere licenze agli operatori del settore. Grazie a un numero crescente di miner e di token BTC, l’Iran è riuscito in parte a eludere le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti.
Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) è risultato particolarmente attivo in questo ambito, utilizzando quotidianamente più di 2.000 MW di energia per sostenere le attività di estrazione di Bitcoin.
Nel 2021, l’Iran rappresentava circa il 4,5% dell’hash rate mondiale, con un fatturato annuo superiore al miliardo di dollari. Tuttavia, con l’avanzare del 2024, il suo peso è diminuito fino al 3,1%, a causa di un inasprimento delle normative, difficoltà nell’applicazione delle regole e una rete elettrica che ha mostrato segni di fragilità.
Hash rate si riprenderà?
Resta da vedere se ulteriori bombardamenti degli impianti energetici iraniani avranno un impatto negativo sull’hash rate di Bitcoin. Il recupero potrebbe richiedere tempo.
La buona notizia è che, nonostante il complesso di Esfahan sia stato colpito, l’AIEA non ha segnalato alcuna contaminazione radioattiva, ma solo danni strutturali riparabili.
Se si dovessero verificare altri attacchi è probabile che l’hash rate diminuisca ulteriormente e la rete abbasserà la difficoltà per mantenere l’elaborazione dei blocchi ogni 10 minuti.
Tuttavia, non sarebbe la prima volta che la rete subisce gravi interruzioni. Il divieto di mining di Bitcoin in Cina ha causato un forte calo dell’hash rate, ma dopo pochi mesi, l’hash rate è aumentato vertiginosamente, raggiungendo nuovi massimi.
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