Con una recente e inattesa rivelazione, la Banca Centrale Saudita ha comunicato di possedere una quota rilevante di Strategy (la società di Michael Saylor, precedentemente nota come MicroStrategy), che da tempo si distingue come il principale investitore istituzionale in Bitcoin, visto che ha scelto il principale asset digitale come propria riserva di tesoreria primaria. Di conseguenza, l’investimento in Strategy implica per la Banca araba un’esposizione significativa alle criptovalute.

Secondo quanto riportato dai media, il documento SEC 13F della Banca Centrale Saudita mostra come ora detenga 25.656 azioni di MicroStrategy Inc. Al momento Strategy detiene 568.840 Bitcoin, per un valore di circa 68 miliardi di dollari (all’attuale prezzo di mercato).

La scommessa di Strategy su Bitcoin

Sui social media, la notizia della mossa della Banca Centrale Saudita è stata accolta con grande interesse dalla community crypto, che l’ha interpretata come un segnale implicito ma significativo di apertura istituzionale verso l’adozione delle criptovalute e delle tecnologie blockchain.

Molti analisti e osservatori del settore hanno visto nella decisione una forma di endorsement — seppur non esplicito — nei confronti della strategia di aziende innovative come Strategy. Secondo questa lettura, la Banca Centrale non solo sta riconoscendo la crescente rilevanza delle criptovalute nei mercati internazionali, ma potrebbe anche essere pronta a gettare le basi per futuri esperimenti normativi o integrativi, come l’adozione di stablecoin o l’esplorazione di asset digitali nella finanza istituzionale.

Alcuni membri influenti della community hanno ipotizzato che tale apertura da parte di un attore finanziario tradizionalmente conservatore come la Saudi Central Bank possa spingere altre grandi aziende e fondi sovrani a prendere in considerazione mosse simili, per non perdere competitività in un panorama economico sempre più orientato verso la digitalizzazione degli asset.

Inoltre, questa iniziativa si inserisce nel più ampio contesto della Vision 2030 saudita, un programma strategico che punta a diversificare l’economia del Regno, riducendo la dipendenza dal petrolio. In quest’ottica, l’interesse per le criptovalute e la blockchain potrebbe rappresentare un tassello chiave della trasformazione digitale e dell’apertura a nuovi paradigmi economici globali.

Il titolo MicroStrategy (MSTR) non ha ancora reagito positivamente alla notizia, anzi nella giornata di giovedì 15 maggio ha fatto registrare un calo di quasi il 5%, chiudendo la giornata a 397 dollari. Negli ultimi cinque giorni, le azioni della società hanno mostrato forte volatilità, in parte alimentata dalle analisi degli esperti che segnalano implicazioni più ampie sull’adozione istituzionale delle criptovalute.

A suscitare ulteriori dubbi è stato anche il ricorso da parte di MicroStrategy a fondi presi in prestito per acquistare Bitcoin, una strategia che continua a sollevare critiche. Tra i più critici c’è Peter Schiff, noto oppositore di Bitcoin, che ha deriso la scelta di Michael Saylor, definendola “una scommessa all-in e ad alto rischio sull’andamento della criptovaluta”.

Come sta cambiando la considerazione di BTC

Storicamente, le Banche Centrali hanno privilegiato investimenti in oro o dollari statunitensi per garantire stabilità a lungo termine. Negli ultimi tempi, però, stiamo assistendo a un graduale cambiamento, con alcune istituzioni che iniziano a puntare anche sugli asset digitali. Secondo informazioni pubbliche, circa dodici nazioni – tra cui Stati Uniti, Regno Unito, El Salvador, Iran e Bhutan – detengono attualmente Bitcoin nelle riserve del Tesoro o delle banche centrali.

In precedenza, il fondo sovrano norvegese ha adottato una strategia analoga, incrementando gli investimenti in società come MicroStrategy, Coinbase e Metaplanet, tutte con una significativa esposizione al mercato delle criptovalute. La Banca Centrale Saudita, precedentemente nota come Saudi Arabian Monetary Authority (SAMA), si colloca ora tra le poche banche centrali con un’esposizione indiretta a Bitcoin.

In aggiunta, sono diverse le Banche Centrali stanno esplorando il mondo delle crypto, adottando approcci diretti o indiretti. La Banca Centrale di El Salvador, per esempio, nel 2021 ha fatto di BTC una moneta a corso legale e ne detiene oltre 5.700 unità nelle riserve nazionali.

La Banca del Bhutan ha investito in Bitcoin attraverso partnership con società crypto-friendly, mentre la Banca Centrale dell’Iran utilizza BTC per finanziare le importazioni, aggirando così le sanzioni internazionali. La Banca d’Inghilterra, infine, ha mostrato un certo interesse, studiando l’integrazione di asset digitali nelle sue riserve.

Tutti questi esempi dimostrano come le criptovalute stiano ottenendo un riconoscimento sempre più ampio, non solo tra investitori retail ma anche tra attori istituzionali e finanziari di primo piano. In particolare, emergono come strumenti di diversificazione — cioè asset alternativi che possono affiancare portafogli tradizionali composti da azioni, obbligazioni o materie prime — e come veicoli di innovazione tecnologica e finanziaria, soprattutto grazie alla blockchain.

Tuttavia, questo riconoscimento non è privo di riserve. Le istituzioni e le aziende che si avvicinano al mondo crypto lo fanno generalmente con un approccio prudente, consapevoli delle sfide normative ancora aperte (come la mancanza di regolamentazioni chiare in molti Paesi) e dell’elevata volatilità che caratterizza questo mercato. In altre parole, pur riconoscendone il potenziale trasformativo, il settore crypto viene ancora considerato un territorio sperimentale, che richiede una gestione del rischio attenta e ben strutturata.

 

 

 

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Lucio Prosperi

Giornalista iscritto all'albo dal 2001, con una vasta esperienza nei settori delle criptovalute, dei videogiochi, dell'hi-tech e dei viaggi. Da anni mi occupo di raccontare l'evoluzione tecnologica e le tendenze emergenti, con uno sguardo sempre attento alle novità del mondo... Leggi di più

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